Oggi per la rubrica “il mondo delle mamme” ospitiamo Giulia, che ci regala un racconto molto poetico dedicato alla sua esperienza di maternità.

Sul suo blog si presenta così: “Sono editor e coach di scrittura per Studio83, agenzia di servizi letterari che ho fondato nel 2007 con Elena Di Fazio.

Sono autrice di racconti di fantascienza pubblicati in una decina di antologie italiane.

Sono mamma di due bambine: una sta imparando a parlare, l’altra a scrivere, e affrontano questa sfida con curiosità e una quieta determinazione che mi ispira ogni giorno.”

Se volete saperne di più su di lei potete cercare informazioni sul suo sito. Qui è possibile trovare informazioni sui servizi che offre come editor, ma anche qualche bel racconto per chi è un lettore curioso.

Il racconto Mele è uscito in origine su L’Uovo periodico della casa di
maternità La Via Lattea

Mele

“Quando ti ho detto che ero incinta, mi hai abbracciata, le mie paure contro il tuo torace.

Andrà tutto bene, mi hai detto: e non so cosa mi sia stato più caro, se la tenerezza con la quale hai cercato di calmarmi o la paura che hai evitato di nascondere, lasciandola trasparire tra le pieghe delle tue rassicurazioni.

In quei primi giorni, parlavamo l’uno all’altra, sì, ma anche a noi stessi. Andrà tutto bene, dicevo io, siamo giovani. Sarà divertente. Posso fare la mamma, ne sono in grado. Posso partorire. Posso prendermi cura di un essere umano – di un essere umano piccolo – per un anno, due, dieci… andrà tutto bene e anche se ora sono una teen-ager attempata, ho nove mesi per trasformarmi in ape regina. Nove mesi sono lunghi, no?

Tu dicevi: ma sì, non siamo messi male. Abbiamo i soldi da parte. Venderò la moto, tu stai tranquilla e pensa al pancione, vedi, anche ‘sto mese ho guadagnato bene, vedi, dobbiamo solo stare tranquilli e andare d’accordo e al resto ci penso io. Ho venduto la moto.

 

Con il passare dei mesi il mio sguardo si abbassava, fino a rimanere puntato all’ombelico. Tu guardavi avanti. Scrutavi il futuro mentre io, camminando a ritroso, cercavo nel mio passato il senso di avere una madre, per poterlo diventare; di avere un padre, per poterlo riconoscere. Cercavo il senso dell’essere figlia, per poterla trovare. Siamo andati al mare, in primavera. Sdraiati sullo stesso asciugamano, ci siamo abbracciati e io ho premuto il viso contro la tua pelle nuda che sapeva di salsedine e sudore. Un momento bello da non dimenticare, da riporre al sicuro nel cassetto dei ricordi, pronto a essere ripescato quando c’è bisogno di sentire ancora il suono sciabordante del mare. Quando ho chiuso gli occhi le onde parevano
potermi portare via, ma tra le tue braccia calde sarei potuta essere al sicuro, come su una placida chiatta fluviale, e ho vissuto per prima quel pacifico cullare che ora addormenta mia figlia tanto facilmente.

Abbiamo scoperto insieme che si può essere tranquilli pur essendo pieni di paura verso un futuro talmente improvviso da inibire qualsiasi senso di aspettativa. La nostra è stata un’attesa, senza nessuna immagine di quello che sarebbe stato il dopo, eppure la tua presenza mi ha sempre mormorato che in quel “dopo” tu ci saresti stato, pieno di incertezze quanto me, ma certo del pilastro del tuo amore. E nel caldo estivo, all’ombra dei pioppi albanesi solleticati dal vento, l’ansia si è sciolta. L’abbiamo lasciata nella terra di un vecchio santuario, dove il dolore del passato ha preparato il terreno a una nuova piantina che aveva già iniziato a muoversi.

 

Il sole dell’estate ha lasciato il posto alla luce autunnale, le faggete intorno alla città si sono vestite di un giallo abbacinante e i raggi ambrati pronunciavano un arrivederci ogni giorno più palpabile. Un altro saluto si avvicinava, un benvenuto sudato e temuto. Quando le acque si sono rotte, hai brandito risoluto lo spazzolone e hai pulito il pavimento allagato. Mentre io tremavo nella doccia, hai chiamato Nadia e insieme –non ho bisogno di domandare per saperlo – avete parlato della mia paura mentre io finivo di mettermi lo smalto sui piedi. E continuavo a tremare, è stata un’impresa! Ma avevo bisogno di aggrapparmi a un gesto di ordine: è questo mio ordine pandemoniaco che ti ha incantato all’inizio, ti ha preso con sé e ti ha portato anche in quella sala parto dove non ti avrei mai pensato – e mai pensato di volerti!

“Va bene, entra anche tu, e stammi vicino, ma senza scherzare, e non essere ansioso, arriva o no ‘sto cappuccino? E fai come dice Nadia, e quando la bimba esce non guardare!”

L’ultima richiesta l’hai ignorata e hai visto nascere tua figlia. Poi, dopo non so quanto, hanno sollevato dal mio petto quella cucciola intontita dall’odore pungente e l’hanno data a te, che l’hai tenuta in braccio con due occhi sfavillanti di felicità simili a due cuoricioni da fumetto manga… e lì, in quel momento, ho visto mia figlia, ho capito cosa stava succedendo e sono scoppiata in un pianto di gioia, furioso quanto è stato quieto quello del giorno del mio matrimonio.
Ma guarda, sei presente e attore in alcuni dei momenti più belli della mia vita. Proprio ora che la luce tagliente dell’inverno lenisce la nostra stanchezza, adesso che le ore si dilatano e i giorni scappano come i minuti, non posso dimenticarlo.

Nella tempesta emotiva del puerperio e nelle sfide che affronto quotidianamente, so chi sei perché ho visto ciò che sei stato. Siamo pieni di gioia e prede di occasionali ansie, i nostri sbagli mostrano l’uno all’altro come siamo fatti. E sotto la coltre della quotidianità, avverto ancora l’odore di salsedine, il calore della battigia, e capisco il senso dello stare insieme. Il nostro amore ha dato un frutto, l’abbiamo fatto noi, e forti di questa conquista possiamo stendere le mani in avanti verso gli alberi del futuro, per arrivare a cogliere insieme
le mele argentee della luna,
le mele dorate del sole.”

Vi riconoscete nelle paure che Giulia condivide nel suo racconto? Vi è piaciuto? Quale è stata la vostra esperienza?

Se anche tu vuoi partecipare alla rubrica “Il mondo delle mamme” scrivimi il tuo racconto a centrifugatodimamma@gmail.com 
Ti aspettiamo! 🙂

Scritto da:

Chiara

Ciao! Sono Chiara e sono una “non mamma” di 38 anni.

Cosa ci faccio qui? Anche se non ho bimbi miei sono una zia, di tanti nipoti, di “sangue” e acquisiti.
Inutile dire che amo trascorrere il tempo con loro.
 
Non sono una vagabonda e sono molto abitudinaria, ma ho mille passioni e qui, a Milano e dintorni, non sto mai ferma. Amo il teatro, la lettura, i giochi e i fumetti e ho fondato Youmani Onlus, una associazione che si occupa della divulgazione della cultura teatrale. Organizzo eventi e cerco di creare sempre qualcosa di nuovo. E lo faccio per passione! Nel senso che il mio vero lavoro è un altro e poco c’entra con tutto questo.
 
Cerco di passare tutto il tempo che posso con i miei nipoti e così il mio sarà, nel blog, lo sguardo della zia.
Uno sguardo amorevole e accogliente, ma anche ampio e che un po’ vizia e un po’ diverte, che segue e asseconda. Ma che dice anche le cose come stanno. che inventa giochi e legge libri, che accompagna in una domenica pomeriggio… E che, soprattutto, regala un sorriso.